Il rapporto globale sul divario di genere 2023

di Simona Sforza*

Come ogni anno arriva la classifica globale del WEF sul divario di genere: l’Italia passa dal 63mo al 79mo posto su 146 Paesi. Gli indicatori sono numerosi e fotografano una situazione non rosea. I dati dell’empowerment politico, ovvero la presenza di donne che partecipano alla vita politica, ci collocano al 64mo posto (dal 40mo), nel nostro governo abbiamo solo 6 ministre su 24 totali.

Anche per la partecipazione economica siamo al 104mo posto: una su due non è occupata, c’è un gap di 18 punti con gli uomini. Il reddito è più basso del 24% e nelle posizioni apicali gli uomini sono il 43% in più. È evidente che ci si concentra sull’equazione donna – madre se il ministero è stato ridenominato “Famiglia, natalità e pari opportunità”, eppure è risaputo che sono le donne che lavorano a fare più figli, perché i costi di un figlio sono elevati, specie in assenza di servizi pubblici di cura accessibili.

Maggiore parità di genere comporterebbe più donne occupate, maggiore Pil e quindi più tasse per servizi per la collettività. Ma sembra una questione secondaria. Prendiamo in questo spazio in esame il tema della partecipazione politica, che significa incidere direttamente sulle politiche. Il 2023, secondo le Nazioni Unite, ha marcato un traguardo positivo per le donne e la leadership politica, ma con grandi differenze a livello regionale. In Italia per distorsioni di vario tipo, tra cui la legge elettorale, abbiamo una situazione diversa, con una donna premier ma che non è femminista e il tema della rappresentanza politica non è mai stato nella sua agenda. Con il berlusconismo, come ci ricorda Loredana Lipperini, iniziò la brandizzazione delle pari opportunità, salvo poi registrare arretramenti corposi in tema di diritti e l’archiviazione di qualsiasi stagione riformatrice in chiave femminista. Esattamente ciò che è il messaggio di Storie della buona notte per bambine ribelli che tra le altre ci presentava anche Margaret Thatcher, l’ideatrice tra le altre cose della Poll tax su ogni adulto maggiorenne. Esempi tossici di come si veicoli male l’idea di partecipazione e di rappresentanza a beneficio delle donne, dalla loro parte.

In altre parole non basta che siano donne, che occorre aggregarsi sui temi e non fare pinkwashing, sventolando un femminismo stile girl power. Le donne della realtà continuano ad essere escluse da ogni miglioramento perché dipende da come agisci il potere, come lo usi e se lo fai per ribaltare le logiche maschiliste. Non si tratta di moda quando parliamo di cambiamento femminista, ma di rompere le catene.

La filosofa inglese Nina Power parlava di questo, di smettere di desiderare un’esca democratica’, la donna emblema nei luoghi di potere, ma agire sul piano della rappresentazione prima che della rappresentanza.

Rovesciare il tavolo come diceva Ursula Le Guin.

*Coordinatrice Donne Democratiche Municipio 7 – Milano

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