Cosa succede al mercato del lavoro femminile?

Simona Sforza*

Per avere un quadro recente delle politiche che riguardano le donne, si pensi alla cancellazione di Opzione donna e delle ricadute sul pensionamento. Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza con la sua sospensione si vanno a colpire le persone con figli minorenni, ovvero le madri sole. Così la protezione viene meno. Sul fronte Pnrr, Meloni aveva promesso la copertura del 100% dei nidi gratuiti, ma adesso persino il 33% sembra una chimera.

Il Ministero dell’Economia e Finanza ha previsto che il PNRR coinvolgerà settori caratterizzati da una prevalenza di lavoratori uomini. Si è cercata una mitigazione con la clausola che vorrebbe almeno il 30% delle nuove assunzioni riservato a donne e giovani. Purtroppo le prime analisi sui bandi mostrano che il 69% dei bandi pubblicati ad oggi ha fatto ricorso alla deroga e quindi non ha applicato alcuna quota riservata.

Nel codice degli appalti non c’è più la premialità per le imprese che garantiscono pari opportunità di lavoro. Come emerge da un articolo de L’Espresso, “si prevedeva un incremento di occupazione giovanile o femminile pari al 30%, nel 75% delle gare”, ma con le varie eccezioni non si verificherà.

Secondo i dati Eurostat nel 2022 l’Italia è ultima per occupazione femminile su 26 paesi. Siamo al 51,1%, l’Europa è al 64,9%, avremmo dovuto arrivare al 60% nel 2010, secondo l’obiettivo di Lisbona 2000.

Il tema del salario minimo andrebbe a risollevare moltissime occupazioni femminili, meno qualificate e oggi al di sotto dei 9 euro orari.

Secondo Istat ad aprile 2023 il tasso di occupazione femminile è del 52,3% tra i 15 e 64 anni, a Milano nel 2022 del 47,6% (15-89 anni). A Milano l’occupazione femminile è stimata al 62%, ma è difficile definire il gap salariale a cui sono sottoposte (secondo i dati Eurostat (2020), l’Italia registra un gender pay gap del 4,1% nel settore pubblico un 16,5% nel settore privato). Solo una quota minima è dovuta a pura discriminazione, il resto è causato da lavori in settori con basse retribuzioni (cura) e meno qualificati, oppure quelli con minor presenza femminile, fanno più spesso lavori part-time, non fanno carriera e non fanno straordinari per cause familiari. Un gatto che si morde la coda.

Sarebbe interessante effettuare i raffronti pre covid e scendere nelle dimensioni di analisi più micro, a livello di zona, che è la grandezza che più ci riguarda se vogliamo incidere con politiche ad hoc a partire da una ricognizione sui dati. Senza voler effettuare una rilevazione statistica di valore scientifico, abbiamo predisposto un questionario anonimo dedicato alle donne che abitano o lavorano nel Municipio 7, per capire lo stato dell’occupazione femminile nei nostri quartieri. Sarebbe interessante rilevare quanto incidono i figli sull’occupazione e sulla scelta per esempio del part-time se volontaria o meno.

Ricordandoci sempre che un’occupazione femminile bassa vuol dire meno PIL, meno produttività, tasse, contributi e pochi figli, con ricadute in età anziana. Invece siamo convinti che il welfare gratuito delle donne sia una buona cosa laddove i servizi e il welfare pubblico stentano. Ci si adagia su scelte che non sono tali, bensì percorsi ad ostacoli e obbligati. Crescere figli è un costo, al momento tutto o quasi sulle spalle delle donne che sostituiscono gratuitamente il welfare statale che non c’è.

*Coordinatrice democratiche Municipio 7 – Milano

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